La storia di Hitomi: un twist spaziotemporale

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Quattro anni fa, di questi tempi, stavo vivendo in Giappone, e il satellite Hitomi si stava disintegrando in cielo insieme ai miei sogni di calibrazione di dati astronomici mai visti prima.

Hitomi prima del lancio, fotografato nel centro spaziale di Tsukuba, in Giappone.
Immagine del lancio del satellite Hitomi dalla base spaziale di Tanegashima, il 17 febbraio 2016.

Hitomi significa pupilla. Il nero della pupilla, là dove entra la luce, il segnale.

Studiato per ricevere raggi X cosmici con una risoluzione incredibilmente maggiore di quella dei migliori telescopi esistenti, lanciato dalla base spaziale di Tanegashima il 17 Febbraio 2016, nella notte tra il 26 e il 27 Marzo del 2016 Hitomi si è disintegrato in cielo dopo essersi messo a ruotare vertiginosamente su sé stesso, fuori controllo.

Immagini infrarosse di ciò che rimane del satellite Hitomi, riprese il 2 Aprile 2016 dal telescopio giapponese Subaru: oltre al corpo principale di Hitomi, si possono distinguere vari pezzi di pochi metri di grandezza.

La notizia della disintegrazione in orbita non è arrivata immediatamente a Terra: il destino di Hitomi, per noi umani, è rimasto in sospeso per una decina di giorni e una decina di notti semi-insonni. Era chiaro che il satellite stava ruotando su sé stesso in maniera anomala, dopo aver perso completamente il suo “orientamento cosmico“.

Immagini riprese da videocamere terrestri mostravano il satellite percorrere la sua orbita in maniera incontrollata, apparendo simile a una bizzarra stella cadente confusa.

Probabilmente il satellite si era spezzato, ma forse non in maniera irrecuperabile.

Fotografia del monitor della JAXA con gli scienziati responsabili di Hitomi che ci raccontavano in diretta gli ultimi aggiornamenti sulla situazione del satellite. Era chiaro che stava ruotando su sé stesso senza controllo, e che si era spezzato: ma in quanti pezzi? Forse i pannelli solari erano ancora intatti..?

Il 29 Marzo 2016 sono stata intervistata da Marco Malaspina di Media INAF, e il video YouTube qui sotto riporta fedelmente il clima che respiravo in quei giorni: fiducia e speranza, che sarebbero state irrimediabilmente infrante dalle leggi della fisica pochi giorni dopo.

Una storia pazzesca quanto reale, quella di Hitomi; una catena di imprevisti cosmici e di errori umani coronati da quello fatale, quasi-comico nel dramma: un segno ‘‘ al posto di un segno ‘ + ‘ !

Una spinta nella direzione sbagliata al satellite già confuso e… PATATRAC!

Forza centrifuga in azione su 2.7 tonnellate orbitanti che fanno giravolte sbilanciate senza controllo, e assieme al satellite si spezzano i progetti e le visioni scientifiche di decine e decine di astronomi di tutte le età e di tutte le nazioni — ma soprattutto Giapponesi, Olandesi, Statunitensi, Svizzeri, Canadesi — e scienziati che là lavoravano, e studenti che là studiavano. Insomma, tanta scienza perduta, evaporata.

Insieme dei loghi corporativi di tutte le Agenzie Spaziali, Università, Centri di Ricerca, Imprese, Industrie coinvolte nella costruzione di Hitomi.
Manager della JAXA ci aggiornano sullo stato di Hitomi. Game over: il satellite si è spezzato, ha perduto i pannelli solari, e non c’è maniera di recuperarlo. Sorry!

Prima di rompersi, Hitomi ci ha lasciato il migliore “spettro di energia” a raggi X che l’umanità abbia mai visto: il suo sguardo sul cosmo è stato senza precedenti.

Osservare l’Universo con Hitomi è stato come indossare occhiali puliti per la prima volta, dopo decenni: ma dopo poche ore questi occhiali si sono frantumati. Dire che siamo rimasti con l’amaro in bocca è un severo eufemismo.

Spettro a raggi X dell’Ammasso di Perseo. In rosso la distribuzione di energia visibile dal più grande telescopio a raggi X orbitante, XMM-Newton. In nero la distribuzione di energia visibile da Hitomi. Quelle che per XMM-Newton sembravano “collinette” attorno a 6.5, 6.8, 7.7 keV, sono svelate da Hitomi essere un insieme di segnali stretti e ben definiti, ricchi di informazione.

Eppure, qualche rivoluzione terrestre più tardi, posso dire che Hitomi è stato uno dei miei più grandi maestri, e ringrazio i suoi pezzetti perduti molto più spesso di quanto avrei potuto immaginare quattro anni fa.

Quattro anni fa, dicevo, stavo vivendo in Giappone: da sola, in un miniappartamento nel centro di esplorazione aerospaziale Giapponese JAXA, fuori Tokyo. Mi cibavo perlopiù di alghe, sushi, gamberi, uova, zuppe, riso, miso, birra.

Fotografia dell’edificio dell’Istituto di Esplorazione Aerospaziale Giapponese (JAXA) in cui alloggiavo a Sagamihara, ad ovest di Tokyo.

Ero stata inviata in Giappone per un mese per conto di SRON (l’Istituto Olandese di Ricerca Spaziale, coinvolto in prima linea nel progetto Hitomi), per aiutare a calibrare il Soft X-ray Spectrometer (SXS): uno strumento rivoluzionario nel campo dell’astrofisica delle alte energie, raggi X in particolare; era proprio lo SXS a fornire a Hitomi quei fantastici “occhiali nuovi a raggi X“.

Fotografia dello SXS, Soft X-ray Spectrometer, gioiellino tecnologico a bordo di Hitomi.

Tutto questo non è mai successo: rottosi Hitomi in orbita, la necessità del mio contributo scientifico è evaporata. Tornata in Olanda sola sola e mesta mesta, non c’è stata nessuna riunione per fare il punto di una situazione che già non esisteva più: siamo passati da meeting su meeting pianificati ferreamente, maniacalmente proiettati nel futuro settimana dopo settimana, giorno dopo giorno, a… il nulla.

Niente, nulla, nada de nada.

La frustrazione di capire che non avremmo potuto vedere i tanto aspettati dati di buchi neri per i prossimi cinque o dieci o venti anni, applicata alla sensazione di nulla cosmico che mi circondava, ha fatto da fermento a un impeto creativo che ha dato il via ad una serie di eventi che mi hanno portata, pochi anni dopo, a vivere in un altro paese, innamorata, sposata, disintossicata, a capo del mio proprio progetto, e a viaggiare per il mondo per parlare di venti di buchi neri, fino all’Etiopia. Ah, lo spaziotempo!


Era il 12 Aprile 2016, mancavano pochi giorni al mio rientro in Europa, ed erano già svariati giorni che vivevo nel nulla cosmico, fatto di niente dati; niente prospettive future brillanti; a ben vedere: niente prospettive future.

Lavorativamente parlando, ero rimasta presa in un collo di bottiglia: ancora troppo giovane anagraficamente per concorrere a posizioni senior, e già troppo vecchia accademicamente per concorrere a posizioni junior. Il mio quarto contratto di postdoc stava per scadere, e dalle prospettive presenti e future era appena scomparso il pezzo grosso, enorme, scintillante: Hitomi.

Quel 12 Aprile ho messo un punto al presente.

Un po’ per gioco (tipo puzzle), un po’ per diversione (disegnare buchi neri come fumetti), un po’ per frustrazione (“non vedremo nuovi dati per i prossimi 5-10 anni! sigh!” a ripetizione, tipo mantra), con l’aiuto e la spinta di Chris Done — professore all’Università di Durham e colosso nel campo della fisica dei buchi neri; anche lei ospite alla JAXA per collaborare allo sviluppo di Hitomi, e compagna in quei giorni di sushi e speranze e disillusioni — mi sono messa a riassumere tutto ciò che conoscevamo fino a quel momento dal punto di vista osservativo sui buchi neri supermassicci che risiedono al centro delle galassie (chiamati nuclei galattici attivi, AGN) su una lavagna gigante di un’aula gigante del nono piano della JAXA.

Volevo capire cosa potevamo dire di aver capito, come comunità di astronomi, fino a quel momento, dei buchi neri supermassicci e dei venti che vicino ad essi si possono generare.

In particolare: che tipo diverso di vento ci si aspetta per diverse “diete” di buchi neri supermassicci? Esiste una maniera (relativamente) semplice di spiegare la vastissima fenomenologia degli AGN, considerando semplicemente diete differenti (buchi neri magri o grassi, che mangiano poco o che mangiano molto)?

Lavagnona della JAXA riempita di scarabocchi scientifici che riassumono le nostre conoscenze dei buchi neri supermassicci dal punto di vista dei raggi X e raggi ultravioletti, a primavera del 2016. Tre anni e cinque mesi dopo, l’articolo andava in stampa su Astronomy & Astrophyiscs.

Due mesi dopo questa lavagna era diventata una sgangherata bozza di articolo; quattro mesi dopo Daniel Proga entrava entusiasta nel progetto; un anno e mezzo dopo l’articolo veniva rifiutato dalla rivista a cui l’avevamo proposto per pubblicazione, io rimanevo senza contratto di lavoro, e Chris usciva dal progetto.

Ma come si dice: “Nevertheless, she persisted” — o anche: “Era proprio ‘na zoccona“.

Risistemato l’articolo insieme a Daniel, abbiamo cambiato formato e rivista; a Luglio 2018 abbiamo di nuovo inviato l’articolo, che l’11 Aprile 2019 è stato ufficialmente accettato per pubblicazione nella rivista Astronomy & Astrophysics, dove è apparso a Settembre 2019.

Nel frattempo, la base scientifica dell’articolo mi era servito da àncora per vincere un finanziamento pluriennale che mi sostenta finora.

Cosa sarebbe successo se Hitomi non si fosse rotto?

Sicuramente avrei potuto già sapere meglio come si comportano i venti dei buchi neri, molto vicino all’orizzonte degli eventi.

La mia carriera scientifica avrebbe ricevuto un notevole impulso verso l’alto, conseguenza degli inevitabili innumerevoli articoli con risultati scientifici rivoluzionari che ne sarebbero scaturiti (del resto, un’unica osservazione con SXS dell’ammasso di Perseo ha dato vita a una dozzina di articoli scientifici…).

Starei lavorando probabilmente in Giappone, o in Olanda, dove ero postdoc all’epoca di Hitomi. Sarei grassissima, gonfissima, solissima. Sarei dipendente di qualcuno che dipende da qualcuno che dipende da qualcuno, in una rigida scala gerarchica — probabilmente inevitabile quando si debba sostenere lo sviluppo di grandi missioni scientifiche.

Tutti quegli articoli scientifici non sono mai nati, eppure un solo articolo testardo nato dal nulla mi ha permesso di vincere un concorso della Comunidad de Madrid, grazie al quale sono dipendente di me stessa già da quasi un anno, e lo sarò per i prossimi tre. Grazie a questo progetto sto potendo raffinare lo scenario teorico-osservativo per i venti dei buchi neri che ho descritto nell’articolo con Daniel.

Nel frattempo collaboro con ricercatori indipendenti, conducendo ricerche appassionanti su un fenomeno cosmico completamente nuovo: le eruzioni quasi-periodiche di raggi X, o QPE.

Vivo in un paese pieno di sole, di gente che ride, sono innamorata, sposata, magra, in forma, disintossicata, mangio bene, senza burro, di notte non bevo birra — sono di fatto diventata allergica all’alcol! — ma camomilla, lavoro nel centro di ricerca più bello che abbia mai visitato, dove si gestiscono i più grandi telescopi spaziali che utilizziamo noi scienziati, e dove posso persino coltivare le mie zucchine e i miei pomodori.

Ancora non so come si comportano esattamente i venti dei buchi neri vicinissimo all’orizzonte degli eventi, ma sto cercando di imparare a non avere fretta.


Queste qua sotto sono le lezioni imparate, a caldo, dall’esperienza Hitomi. Si tratta dell’ultima slide di una presentazione pubblica che ho tenuto ad Utrecht, in Olanda, dove ho vissuto per ulteriori 23 mesi una volta tornata dal Giappone.

  • è necessario conoscere bene, ed applicare bene, la matematica di base;
  • non bisogna fare piani;
  • è necessario lasciare alternative aperte;
  • dormire bene è immensamente importante.

Hitomi mi ha insegnato principalmente a non fare piani: approfittare del corso naturale degli eventi il più possibile, dato che i grandi piani possono cambiare, rompersi, addirittura evaporare all’improvviso.

Stiamo vivendo una stagione dove piccoli o grandi Hitomi si sono rotti per tutti quanti noi.

Il mio consiglio è di accettare l’accaduto come una prova, una sfida spaziotemporale. Raccogliere tutti i pezzi che si possiedono, guardarli bene, osservarli uno per uno, e creare tutto il possibile con quello che si ha già, con tutto quello che già si ha a disposizione. Mettere questo “tutto il possibile” a fermentare, e seguirne l’evoluzione naturale nel prossimo futuro, con fiducia.

Poter rimescolare lo spaziotempo partendo da zero è un’opportunità che non capita in ogni vita.

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