…che io amo,
e che io detesto
così come amo e detesto me, Italiana, come la pizza, Margherita.
Sono un’Italiana che osserva l’Italia da fuori da circa dieci anni. Non ho mai smesso di osservarla, e solo da fuori ho iniziato un pochino a capirla — perché finalmente potevo vederla. Le cose si vedono per intero solo da fuori, proprio come le galassie.
Siamo umani, facciamo errori.
Fare errori è bene, se si riconoscono gli errori in quanto tali, se si ricordano, e se non si ripetono. L’errore è fondamentale per incontrare il cammino giusto. Questo lo sa bene ogni umano di scienza, e ogni persona saggia che vive su questo pianeta. Senza errori non c’è scienza, senza errori non c’è conoscenza.
Sbagliare fa bene (“sbagliando si impara”), se si ricorda l’errore e non si ripete.
Italiani, abbiamo sbagliato, e stiamo pagando per questo errore. L’opportunità adesso è quella di riconoscere l’errore in quanto tale, ricordarsene, e non ripeterlo ancora. Perché le occasioni per potere ripetere lo stesso errore torneranno, senza alcun dubbio.
Viviamo in un momento speciale di un’epoca speciale: siamo all’inizio dell’espansione dell’epidemia — e in allerta pandemia — del COVID-19, un nuovo coronavirus originatosi nella città cinese di Wuhan a fine 2019. In tre mesi, il nuovo coronavirus si è espanso in 65 paesi del mondo, contagiando quasi 100,000 persone (più di 96,000 contagi al 5 marzo 2020) e provocando più di 3000 morti. Circa 80,000 contagi sono avvenuti in Cina.
Ancora non si capisce bene quale sia la gravità effettiva di questo nuovo coronavirus: si va da “peste bubbonica!” a “come l’influenza.”, ma si capisce che la verità non sta in uno né nell’altro estremo. Ad ogni modo, questa situazione assomiglia ad una prova generale per l’umanità in stato di allerta. Perché se non sarà questo virus ad essere molto letale, sarà un altro, in futuro, o un altro fenomeno, magari cosmico. Quindi dobbiamo prepararci, sì o sì, a reazioni collettive appropriate a situazioni di emergenza, di crisi globale.
Questa allerta è globale, perché globali sono i movimenti su questo pianeta nell’epoca attuale, e perché i virus non ti chiedono il passaporto. Né lo stato sociale né la dichiarazione dei redditi, se è per questo. Come i grandi cambiamenti climatici, come i meteoriti che all’improvviso arrivano, le grandi malattie sono estremamente egualitarie: non fanno alcuna distinzione tra umano e umano, ci vedono per quello che realmente siamo: fragili corpi rapidamente di passaggio su un pianeta niente male.
Ma cosa è successo in Italia?
Il dato di fatto principale è che in Italia c’è un numero grandissimo e crescente di casi di coronavirus, e anche di morti, comparato a quasi tutti gli altri paesi del mondo. Non ci sono solo molti contagiati (“forse gli altri paesi non dichiarano i numeri/non trovano i contagiati”), ma ci sono anche molti morti. Quindi senza dubbio il contagio da coronavirus in Italia è arrivato in maniera anomala rispetto ad altri paesi vicini (ad esempio gli altri paesi Europei). L’Italia, vista da me, Italiana che vive fuori dall’Italia, è rimasta vittima del karma.
Perché dico questo?
L’Italia, vista da fuori, sembra in balia di una xenofobia irrazionale. Ma davvero, non per una certa visione politica di una o di un’altra parte (personalmente non so più nemmeno bene associare facce/nomi di politici Italiani a partiti): è che da fuori, generalmente, l’Italia si vede così. Quando è arrivato questo virus in Cina, l’Italia ha reagito istericamente. L’Italia è stata l’unico paese in Europa dove si andava a picchiare gente di sembianza Cinese, per la ragione di avere sembianza Cinese, per essere possibili untori. Si continua a farlo. E gli Italiani che non picchiano non reagiscono, non commentano neppure: la xenofobia è penetrata nel tessuto sociale, è stata digerita e normalizzata. In Italia esiste un problema enorme di xenofobia, di intolleranza per il diverso. Non ci si rende conto che tutti siamo diversi l’uno dall’altro, tutti, non esiste un umano uguale all’altro. E questo ci rende meravigliosi. Comunque, questo è un altro discorso.
Dicevo: cos’è successo in Italia? È successo che in Italia c’è stata una reazione di xenofobia collettiva, irrazionale; reazione di chiusura, reazione che è consistita nel dire: “Questo virus arriva dalla Cina? Allora io chiudo le porte ai Cinesi!” — appunto, come se il virus ti guardasse il passaporto. Quindi nei primi momenti di crisi, quando i primi casi sono apparsi in Europa e in Italia (fine Gennaio/inizio Febbraio 2020), quando è stato necessario controllare la situazione e contenere l’espandersi rapido del virus, l’Italia ha reagito in maniera diversa dagli altri paesi. Quando è scattato l’allarme gli altri paesi, seguendo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), hanno seguito gli aerei che riportavano i passeggeri dalla Cina — che rientravano dalle aree più vicine a Wuhan; gli aerei ed i loro passeggeri sono stati strettamente monitorati: qui a Madrid, ad esempio, è rientrata una dozzina di persone, che son state tutte messe in quarantena, scortate da auto della polizia non appena atterrate all’aeroporto di Barajas, direttamente fino in ospedale, e là chiusi per due settimane. Si son fatti la quarantena forzata tutti, sì o sì. Nell’ospedale dietro casa mia. E sono già usciti tutti.
L’Italia invece cosa ha fatto?
L’Italia ha fatto la “bulla e la bella”, come le piace fare a volte, quando perde un po'(parecchio) la testa: e cosa ha fatto? Ha cancellato i voli aerei all’improvviso. Ha “chiuso le porte”. L’Italia è stata l’unico paese dell’area Europea a chiudere i voli da e per la Cina, tanto che i Cinesi si sono arrabbiati. L’Italia ha fermato i voli. Ora, secondo voi, fermando i voli tra l’Italia e la Cina, si ferma il traffico aereo degli umani da e per la Cina? Ovviamente no: si triangola, si prende un altro aereo che fa scalo in un altro paese, e si continua a viaggiare tranquillamente. E cosa potrebbe essere successo quindi nei primi giorni di Febbraio 2020? Che molti viaggiatori provenienti da aree vicino all’epicentro del contagio potrebbero essere rientrati in Italia, e in questo caso l’Italia non avrebbe avuto modo di tracciarli: è molto, molto probabile che ciò sia accaduto. E quindi, che cosa è successo? Sono passate una-due settimane — il tempo di incubazione del nuovo coronavirus — e toh! Un numero molto alto di contagi nel belpaese all’improvviso. E panico, e caos, e tutto quello che stiamo vivendo fino ad oggi e che sembra appena iniziato.
Quindi la lezione che bisogna prendere — perché bisogna prenderla, questa lezione — è che chiudere le frontiere a un virus significa avere perso completamente la testa.
Mentre l’Italia chiudeva le frontiere temendo l’untore Cinese, la stessa Italia prendeva il virus da autoctonissimi businessmen viaggiatori; ed ora la stessa Italia, considerata sì a ragione untrice dal resto del mondo, piange implorando al resto del mondo che non chiuda le frontiere attorno a lei.
Karma.
Ma non si può passare dal panico incontrollato alla minimizzazione totale: è necessario guardare i dati e reagire in maniera razionale, se si vuole tentare di recuperare un po’ di credibilità a livello internazionale. È solo così che si salverà il turismo, e l’economia. Oltre che vite umane, per quel che sembra contare.
È il momento di mettere da parte il melodramma, l’emozione, la burla, (e ovviamente la menzogna e lo sciacallaggio) e guardare i fatti e i dati di cui disponiamo: per cercare di capire come si sta svolgendo la situazione, e soprattutto per cercare di prevederne l’andamento prossimo futuro, ed aggiustare i nostri comportamenti di conseguenza.
I fatti più interessanti che conosciamo provengono dalla Cina, dove il virus si è originato e dove dopo alcuni mesi la situazione sembra essere sotto controllo. E guardando ai fatti e guardando ai dati che arrivano dall’Italia, si può dire che la decisione di chiudere le scuole e le Università in Italia per due settimane è stata una decisione necessaria, ed importante. Potrebbe essere necessario prolungarne la chiusura, e probabilmente estendere divieti ad altre manifestazioni collettive, sportive e non.
Ma cosa abbiamo imparato di importante dai fatti della Cina? Un team di scienziati terrestri designati dalla OMS ha studiato l’evoluzione e la gestione del virus in Cina nelle ultime settimane (Gennaio/Febbraio 2020). Cosa si è imparato tutti noi umani grazie al loro lavoro? Che:
- I contagiati si sono infettati perlopiù in casa o in ospedale, o comunque a contatto stretto con altre persone infette.
- La grande maggioranza delle persone contagiate (80%) sono state casi lievi, e sono guarite in 1-2 settimane.
- Il 20% delle persone contagiate e sintomatiche sono invece state casi severi o gravi, e hanno avuto bisogno di cure ospedaliere per 3-6 settimane.
- Di questo 20% di casi severi o critici, circa un quarto ha avuto bisogno di ventilazione meccanica (respirazione artificiale), mentre i restanti tre quarti hanno avuto bisogno “solo” di ossigeno supplementare. Questo ha saturato il sistema sanitario a Wuhan svariate volte: per questo sono stati costruiti ospedali a tempo record: per accudire il 20% di pazienti in condizioni gravi ma non fatali.
- I sintomi più comuni del covid-19 sono: febbre (quasi sempre, 88% dei casi) e tosse secca (più di due terzi dei casi, 68%). Tutti gli altri sintomi sono minori: spossatezza (meno della metà dei casi), tosse catarrosa (un terzo dei casi), respiro corto (un quinto dei casi), mal di gola, dolori muscolari, brividi (meno di un quinto dei casi); nausea e vomito, diarrea, e “naso attappato” sono invece rari (5% dei casi, uno su venti).
- La fatalità è stata del 3.4% (misurata in Cina con dati fino al 17 febbraio); questa cifra dipende molto dall’età, dalle condizioni fisiche pre-esistenti, e, specialmente, dalla risposta del sistema sanitario. Ci si aspetta che la fatalità diminuisca in futuro, e comunque potrebbe essere diversa in altri paesi (dovuta a differenze, appunto, nei tre fattori menzionati: età media, condizioni di salute medie, e soprattutto condizioni del sistema sanitario).
- Il 20% delle 80,000 persone infette in Cina ha avuto bisogno di cure per 3-6 settimane. La Cina ha un numero di letti d’ospedale che possono coprire lo 0.4% della popolazione; altri paesi “sviluppati” ne hanno tra lo 0.1% e il 1.3%. La maggior parte di questi letti sono già occupati da pazienti con altre malattie. È stato fondamentale riuscire a diluire nel tempo la domanda di letti d’ospedale.
- La cosa più importante da fare nel fronteggiare l’emergenza è stata innanzitutto contenere aggressivamente la diffusione del virus, affinché il numero dei malati gravi fosse tenuto sotto controllo; secondariamente, è stato necessario aumentare il numero di posti in ospedale (dove con “posti” si intende attrezzature, materiale, personale medico e ausiliare) fino a coprire le necessità dei pazienti gravi (che sono, ricordo, il 20% dei casi: uno su cinque).
- La fatalità è stata più alta per persone con condizioni mediche pre-esistenti al contagio. In particolare, la fatalità per pazienti con problemi cardiovascolari è stata del 13.2%; con diabete 9.2%; con ipertensione 8.4%; con disturbi respiratori cronici: 8%; con cancro: 7.6%. La fatalità per persone senza condizioni pre-esistenti in Cina è stata del 1.4%.
- Età: se vieni infettato, più giovane sei, più al sicuro sei di non diventare gravemente malato (ovvero di non entrare a far parte di quel 20% che necessiterà cure in ospedale per varie settimane).
- Da fine gennaio 2020, i casi di contagio da covid-19 in Cina sono in costante diminuzione: si parla di circa 300 nuovi casi al giorno, in confronto ai più di 3000 nuovi casi al giorno che venivano registrati all’inizio dello stesso mese.
Dunque la Cina è riuscita a controllare l’espandersi incontrollato del nuovo coronavirus. E come ha fatto? Così:
- con una rapida ricostruzione dei movimenti e dei contatti del numero maggiore possibile di contagiati;
- con diagnosi rapide;
- con misure di quarantena eccezionali ed immediate.
Decine di milioni di persone sono state messe in quarantena in Cina all’inizio dell’epidemia di covid-19 — e la quarantena è stata rispettata. Per fronteggiare il nuovo coronavirus in Cina è stata fondamentale la resilienza della popolazione, la capacità di accettare ordini che cadono dall’alto, e di sentirsi parte di una collettività più grande del singolo. In altre parti del mondo le società sono diverse, e gli abitanti non sono pronti a reagire in massa come hanno reagito gli abitanti della Cina: ma dovranno sforzarsi di farlo il più possibile, se vorranno arginare la diffusione del virus.
La preoccupazione principale per tutti i paesi di fronte al covid-19 riguarda dunque la velocità di contagio, perché da questa dipende il numero di posti letto necessari ad affrontare la malattia portata dal virus. Questo virus non ammazza molto (si stima 1-3%), ma richiede molte cure: un quinto dei contagiati con sintomi potrebbe richiedere cura in terapia intensiva fino a 3-6 settimane prima di poter essere rimandato a casa.
Quello che non si vuole, in generale, è intasare i reparti di terapia intensiva degli ospedali dei vari paesi. Il pericolo non è “moriamo tutti qua immediatamente”, ma che si intasino i reparti critici — e allora sì che si potrebbero perdere molte persone che in situazioni normali — senza ospedali intasati — sarebbero sopravvissute.
Il covid-19 è entrato in Italia prepotentemente, e il numero di contagi nei primi giorni è cresciuto in maniera esponenziale; in soldoni, in una settimana i casi sono aumentati di dieci volte. Ora il sistema sanitario italiano, per quanto eccellente seppur tartassato da decenni di politiche spietate, non può resistere a una crescita esponenziale di contagiati che si prolunga nel tempo, perciò è necessario reagire con fermezza alla diffusione del nuovo coronavirus. Gli effetti delle misure prese negli ultimi giorni si fanno sentire già: da 2-3 giorni il ritmo di crescita dei contagi in Italia è rallentato un pochino; poco, ma abbastanza da fare sperare di avere intrapreso un’altra direzione. Questo è il momento di proseguire ed intensificare le misure restrittive e precauzionali prese finora: perché se l’andamento della rapida crescita del contagio non si ferma, presto avremo necessità di un numero di posti in terapia intensiva che non abbiamo. Bisogna rallentare l’espansione del contagio, per scongiurarne una prolungata crescita esponenziale.
Tutto questo è spiegato molto bene qui.
Cosa fare dunque? Né entrare in panico, né nell’ignoranza.
È in momenti come questo che è necessario che ogni paese — che l’umanità in generale, i singoli e i gruppi, fino alle grandi istituzioni — adotti misure razionali e ragionevoli; momenti in cui gli umani dovrebbero comportarsi in maniera calma ma cauta, e rispettare le norme igieniche un po’ più del solito, come quando c’è qualsiasi crisi sanitaria. In questa situazione non esiste “la colpa dell’altro”, qui non è colpa dell’altro, in situazioni di crisi globale il problema riguarda l’umanità tutta. E se non è a questo giro, sarà a un altro giro, che dovremo essere preparati a reagire collettivamente in maniera efficace. Quindi l’umanità si deve mettere in testa che è unica, che è una; che di fronte a grandi sfide che sono planetarie — come appunto un virus, perché non lo fermi, non ci metti una barriera attorno — chiudersi irrazionalmente nei confronti dell’altro può solo far danni.
Quello che è necessario è uno sforzo enorme — che è grandissimo, anche per me che lo dico e lo scrivo — lo vedo e lo sento, è uno sforzo grandissimo per tutti gli esseri umani — però è necessario fare lo sforzo enorme di dire e di capire che non solo io sono un individuo singolo, con la mia individualità importantissima e preziosissima, ma sono parte di un collettivo, quindi ho una responsabilità collettiva.
Quindi in questi giorni io evito i luoghi e gli eventi affollati. Quindi se io mi sento un poco male, cerco di rimanere in casa, o mantenermi a distanza dalle altre persone. Quindi se sono raffreddata o ho la tosse, io non tossisco e starnutisco a spruzzo di geyser sugli altri, bensì mi copro la bocca e il naso con il gomito (è buffo, ma efficace; fatelo). Quindi se mi sento male non mi precipito dal dottore o all’ospedale, ma telefono ai numeri di emergenza e mi metto in quarantena a casa mia per un paio di settimane. Quindi io mi lavo le mani, bene, con acqua e sapone, e le risciacquo bene; evito di mettermi le mani in bocca, negli occhi, nel naso; queste cose. Ma non perché ho paura di morire io, di ammalarmi io: perché so che la società è piena di persone più deboli di me, che potrebbero ammalarsi a causa mia. Questo “clic” deve scattare nella testa della gente. E io spero che scatti, anche e soprattutto negli Italiani. Che nel loro essere Italiani hanno sì la reputazione di fare le cose alla ca**o, ma anche tutto il genio e l’estro creativo e la determinazione pratica necessari a stravolgere e superare qualsiasi situazione di crisi — se vogliono farlo.
La gente non tornerà a fare turismo in Italia perché gli si dice che tutto è bello e tranquillo nel belpaese: la gente tornerà in Italia se potrà fidarsi degli Italiani.
Se scrivo è perché amo con passione l’Italia e con passione la detesto, e mi piacerebbe imparare ad amarla con più equilibrio, sempre.
Mi piacerebbe anche potere tornare presto a rispondere alla gente, quando mi chiede come mi chiamo e da dove vengo: “Margherita, dall’Italia, come la pizza!!”

P.S. L’origine esatta del virus non mi interessa, perché non credo che potrò mai conoscerla esattamente — un po’ come ciò che cade dentro un buco nero. Quello che mi interessa sono gli effetti del virus, come modifica la nostra realtà nel presente e nel futuro.
P.P.S. Questa sfida è globale e come ogni sfida globale tira fuori il meglio e il peggio da ognuno di noi, e da ogni tipo di società; parlo dell’Italia perché la conosco molto meglio degli altri paesi che mi hanno ospitata, e dato il privilegio di poterla osservare da fuori. Condividiamo tutti lo stesso pianeta.